di Brando il brownie
L’essere
umano, in quanto mortale, ha sempre temuto l’evento morte, la fine degli avvenimenti e del ciclo vitale che pone il termine ultimo ai sogni, alle speranze e ai
progetti di ognuno.
Tralasciando
però il concetto fin troppo chiaro fornito dalla biologia, e quello certamente
più controverso d’ispirazione al pensiero filosofico, parliamo dell’aspetto più
affascinante: la personificazione della Morte.
In
letteratura, nei fumetti e al cinema, tutti avrete visto la macabra figura del
Tristo Mietitore, inquietante personaggio scheletrico abbigliato con un saio o
una tunica neri, e armato di una lunga falce. Ma a quando risale questa ormai
classica iconografia? E perché l’uomo ha avuto bisogno di dare un corpo (se di
corpo si può parlare) all’inevitabile termine di ogni ciclo vitale?
La risposta non è facile, ma in queste poche righe
cercherò di mettere ordine nelle fantasie contorte degli esseri mortali.
Nella religione.
Se cercate
tracce della personificazione della Morte in giro per il mondo, ne trovate
praticamente in ogni religione: nelle tradizioni Indù e Buddhista troviamo la
figura di Yama, la divinità preposta al trapasso delle anime, ma il suo
aspetto, per quanto terrificante e mostruoso, è perlopiù umanoide e ben lontano
dalla figura scheletrica ben nota; nella mitologia giapponese il custode degli
Inferi è Enma, un essere più simile ad Ade che al Mietitore. La figura dello
Shinigami (letteralmente “Dio della morte”, reso peraltro popolare da una noto
manga), poi, è ciò che più si avvicina al Tristo Mietitore, ma è un mito di
recente creazione risalente al periodo Meiji (1868 d.c. -1912 d.c.) e
probabilmente importato proprio dall’Europa; nella cultura ebraica l’Angelo
della Morte fu creato dal Signore il primo giorno, mentre per il mondo islamico
è Azrael che assolve al ruolo di personificazione della Morte.
Quando e
dove nascono, quindi, i comuni elementi che caratterizzano la personificazione
della Morte in occidente?