sabato 15 febbraio 2014

Qui vertit pellem, ovvero il buon vecchio lupo mannaro


di Brando il brownie


Il regno della Fantasia è popolato da numerose creature. Alcune sono buffe; altre divertenti o dispettose; altre ancora terrificanti.
C’è una figura in particolare che la letteratura e, nel corso dell’ultimo secolo, il cinema, hanno consegnato all’immaginario collettivo come la più terrificante e ferale: il licantropo, o lupo mannaro, se preferite.
Eppure, per chi la sa lunga, le cose non sono sempre state così; sono state travisate e stravolte dalla stessa cultura che le ha create, così come è accaduto anche per quelle antiche e potenti divinità che un giorno smisero di essere celestiali per divenire ultraterrene e a volte goliardiche (parlo del Piccolo Popolo, ma ora abbiamo una latro “cane” da pelare).
L’origine del rapporto fra uomo e lupo si perde nella notte dei tempi. Prima ancora della narrative, le leggende parlavano di uomini in grado di trasformarsi in lupi, e spesso questi uomini e donne erano delle vere e proprie divinità, venerate e amate dai comuni mortali come nel caso di Latona, madre di Apollo e Artemide. Non a caso, il tempio di Apollo eretto ad Atene era circondato da un bosco sacro chiamato Lycaion (letteralmente “territorio del lupo”); bosco nel quale Aristotele teneva le sue lezioni e da cu deriva il termine “Liceo”.
Celti e Sabini vantavano con orgoglio discendenze lupine, mentre gli antichi romani rendevano gloria alla nota lupa senza la quale Romolo e Remo sarebbero morti,  mancando la creazione della più grande potenza dominatrice che la storia ricordi.
Tali esempi denotano un’eredità ancora più antica, risalente a quelle popolazioni nomadi per cui la riuscita di una caccia poteva far la differenza fra la vita e la morte. Il lupo era un animale sacro, il cacciatore per eccellenza da ingraziarsi perché concedesse le sue abilità all’uomo.
Il grande predatore venne buttato giù dal piedistallo quando le culture nomadi divennero stanziali. Ora che la sopravvivenza dipendeva dall’agricoltura e l’allevamento delle greggi, il lupo era visto come un pericolo, una bestia sanguinaria da cacciare o ancor meglio uccidere. Chiunque fosse in qualche modo collegato a quella figura oscura, che furtiva si muoveva appena oltre la luce dei falò, divenne malvagio e maledetto, un mostro da evitare a ogni costo.
Era iniziata l’era del lupo mannaro.
Gli esseri umani furono estremamente fantasiosi nel massacrare la figura totemica del lupo e la sacralità dello sciamano. Nel corso dei secoli furono “inventati” i modi più vari per entrare in contatto con la maledizione della licantropia (sì, maledizione, non più privilegio): la trasformazione era, nella maggior parte dei casi, involontaria, soggetta alle fasi lunari o al male che si porta nel sangue. Ma è possibile divenire un licantropo anche se si mangia del cibo cucinato da un altro licantropo, se si ha la sfortuna di nascere la vigilia di Natale, se si beve acqua dall’impronta di un lupo, se si mangia il suo cervello, se si dormire sotto la luna piena in un venerdì d’estate o se non ci si confessa per più di dieci anni (il nostro redattore è dichiaratamente un licantropo).
In altri casi la trasformazione avveniva volontariamente, allo scopo di sfruttare la potenza e i sensi del lupo per compiere nefandezze di ogni sorta: in questi casi ci si poteva trasformare con un incantesimo o utilizzando oggetti maledetti, quali cinture o pelli di lupo. Secondo la demonologia ufficiale è Lilith a possedere il segreto per trasformare un essere umano in vampiro o licantropo.
Passando dal mito alla letteratura, la figura del lupo mannaro acquista fama soltanto nel XIX secolo, grazie alla crescente popolarità dei succhiasangue, anche se la primissima apparizione romanzesca risale all’epoca di Nerone. Allora, infatti, Petronio Arbitro scrisse il suo celebre capolavoro, il Satyricon, in cui uno degli episodi è dedicato al versipellis, ossia colui che muta la pelle.
Il lupo mannaro ha trovato terreno prolifico nella narrativa inglese e quella americana, avvantaggiato dal fatto che la sua natura più “realistica”, se paragonata a quella vampiresca, ha dato modo di approcciarsi al licantropo anche in maniera più “scientifica”, immaginandolo come una razza superiore nata dalla fusione di lupo e uomo. Il più noto classico dedicato al mutaforma, infatti, è proprio un racconto fantascientifico: Il Figlio della notte (1948), di Jack Williamson. Qui l’Homo Lychantropus è descritto come un essere superiore sconfitto dall’umanità durante l’ultima glaciazione, ma ormai pronto a riprendersi il dominio del globo.
Per quanto la visione di Williamson sia stata all’avanguardia e abbia liberato il licantropo da quella figura stereotipata che tutti conosciamo, il leggendario uomo lupo resta ancora figlio di quelle storie narrate dagli autori dell’Europa gotica, che lo hanno consacrato come un essere cupo e malvagio, ormai indissolubilmente legato al nostro lato oscuro. 

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